LES FUNENBRES | CONVERSAZIONE TRA ROSALBA PAIANO E FRANCESCO BOCCHINIConversazione tra Rosalba Paiano e Francesco Bocchini (Dalla presentazione in catalogo) R.P.: Ho presentato nel 1991 la tua prima personale a Forlì. Mi ricordo bene quei lavori di lamiera di ferro: grandi quadrati tridimensionali con una figurina appoggiata sul bordo in alto, piccole sculture con il meccanismo, e la dimensione del baraccone per cui tutto si trasformava in fenomeno curioso da esibire, un territorio ambiguo tra l’esotico e la ciarlataneria domestica, con la faccia bianca bianca dell’anarchico Pinelli defenestrato con un colpo di manovella, e il mago Barnum e il Circo Peste. E ricordo nel tempo una fantastica Ciccia Negra Brutta Brutta e un busto crivellato dai segni della ruggine e poi alcune incursioni felici nel disegno come nella mostra del 1999 al Graffio. Che cosa è cambiato in questi dieci anni nel tuo lavoro? F.B.: Innanzi tutto la mia attenzione si è spostata dall’oggetto alla parete, allo spazio. Anche l’uso della lamiera è adesso differente: mentre allora partivo dalle suggestioni che conservava – colore, piccole tracce – adesso prima la rendo neutra e poi ci lavoro sopra e anche il colore è autonomo dalle tracce precedenti. Inoltre il meccanismo era piatto, non tridimensionale, il lavoro era più statico, adesso è più astratto. La struttura stessa si è complicata con elementi diversi mettendo in evidenza il movimento e la parte meccanica. R.P.: Ti ritrovi nella dimensione ludica, di gioco, che ti attribuiscono alcuni critici? F.B.: Assolutamente no, la dimensione del gioco infantile non mi interessa, nei meccanismi c’è al contrario una natura drammatica che nasce anche dal movimento spesso convulso e poco armonioso. Mi interessa mettere in evidenza il contrasto fra l’oggetto (apparentemente misurato) e il movimento che animandolo lo fa diventare qualcosa di molto lontano dal giocattolo. R.P.: Tu continui a usare la lamiera: a Gambettola di ferro accatastato ce n’è tanto da riempire il mondo di sculture. Non sei tentato di usare un altro mezzo? F.B.: E’ vero che continuo a usare la lamiera ma lo faccio in modo molto diverso. La lamiera mi permette di lavorare in modo differente da un lavoro all’altro perché trasformando la natura del materiale con l’uso del colore piatto oppure in rilievo a sbalzo, ottengo una percentuale diversa del materiale stesso e quindi non è mail la stessa cosa. E poi ho in mente di sperimentare la video-animazione con il disegno, o forse mantenendo l’uso della lamiera. R.P.: Mi pare che i tuoi lavori siano diventati meno materici, più concentrati in se stessi. Quasi tutte le sculture che presenti si proiettano in alto, con le linee sottili come le antenne di un fantastico insetto che tastano la spazio. Tutto sembra segnato da una inevitabilità poetica e grottesca, anche la materia è più leggera, quasi scompare per far fiorire un ricordo, un pensiero, un’impressione, con una precisone straordinaria. F.B.: Il lavoro nasce adesso da contaminazioni diverse e si complica di rimandi che ne arricchiscono il senso. La Testa del pittore Soutine diventa un groviglio di pensieri, di movimenti. Sono attratto dalla dilatazione dello spazio che investe ogni cosa; è come se la visione facesse proseguire linee e pensieri fuori dall’oggetto e lo potenziasse di infiniti elementi. R.P.: I titoli sono diventati sempre più importanti, fanno parte delle sculture, spingono la percezione verso una dimensione inaspettata e precisa. F.B.: I titoli sono parte integrante dei lavori, spesso figurano all’interno delle sculture come Delicatessen o Carnera. Lés funenbrés ad esempio è una parola inventata che mette insieme funebre e funambolo. Zanzare di un panartier è l’idea fissa di cui non riesci a liberarti, che continua a ronzarti nella testa. R.P.: Anche il suono del meccanismo, sempre diverso, non è evidentemente casuale, accentua il senso del movimento e gli conferisce una più forte suggestione. F.B.: C’è sempre una parte di casualità che però riesco a controllare. Quando ho cominciato prestavo meno attenzione al suono, poi questo elemento è diventato sempre più pertinente. Il meccanismo con il tempo si è complicato, ha perso la semplicità dello scatto uno-due e di conseguenza anche il suono è diventato meno ciclico. R.P.: Da dove prendi gli spunti per il tuo lavoro? Dalla cronaca, dal cinema, dalla pittura? Mi sembra che la nostalgia della pittura, anche della grande pittura italiana, da Giotto a Duccio all’Angelico, affiori liberamente, insieme al senso della grande decorazione. F.B.: Prendo gli spunti un po’ dappertutto, ma quello della pittura è un riferimento costante sia a livello cromatico sia a livello di struttura dell’opera. Il giardino delle delizie nasce dal riferimento ad un lavoro di Otto Dix e ne vuole restituire il senso con l’impianto del meccanismo; riprende l’idea del giardino arabo, del Giardino delle Delizie di Bosch e inserisce il motivo dei due cani che si accoppiano che è il tema di Omicidio con stupro di Otto Dix. Il braccio dei russi si riferisce all’iconografia classica dei manifesti sovietici, è un grande braccio con un muscolo sfatto e in un angolo un bracchino rosso. In Duccio c’è la suggestione del rosso vermiglio e dell’arancio che dominano tutto il lavoro conferendogli un cromatismo potente. R.P.: Del cliché dell’artista romagnolo-felliniano, matto e lunatico, in cui sono talvolta inciampati i critici parlando del tuo lavoro, non mi sembra che tu giustamente ti preoccupi molto. F.B.: Ovviamente non mi riconosco in questa immagine folcloristica. Mi sento invece vicino alle linee di ricerca che portano avanti alcuni gruppi teatrali come la Societas Raffaello Sanzio e il Teatro Valdoca e altri. R.P.: Sei troppo colto, avvertito per non sapere che le tendenze vincenti in arte sembrano essere oggi quelle che privilegiano il video, l’installazione e nuove forme di concettualità, rifiutando l’idea dell’oggetto. E d’altra parte il talento, il saper fare, possono rappresentare paradossalmente una trappola. F.B.: La mia è una sorta di scommessa, credo che la concettualità, il pensiero possano convivere con la materia. Mi interessa l’idea della scultura, mi interessa approfondire la dinamica interna propria della scultura che è un tema che oggi non viene affrontato, perché mi sembra invece dominante l’idea della pittura, della bidimensionalità. |